
Eccoci tornati con il secondo articolo della rubrica dedicata al piccolo consumatore! Dopo aver accuratamente indagato sul termine “eco biologico” ci soffermiamo un attimo sulla…storia! Tranquill* nessuna noiosa lezione come quelle tra i banchi di scuola, ma rifletteteci un attimo: fin dall’antichità esisteva soltanto un tipo di “cosmesi” (passatemi il termine antichi Egizi!), ovvero quella… NATURALE!
Soltanto con il progresso e lo sviluppo tecnologico anche la cosmesi è stata “industrializzata”. Così fino agli anni ’90 venivano prodotti detergenti e cosmetici interamente sintetici, con metodi uguali sin dagli anni ’80, perché il risultato finale era molto “performante” (es.: i saponi facevano schiuma in gran quantità e davano la sensazione di “lavare bene”). Quasi nessuno si domandava realmente cosa ci fosse all’interno di essi, anche perché i prodotti venivano pubblicizzati per la sostanza chiave all’interno di essi (come succede talvolta anche oggi); né ai produttori né ai consumatori importava più di tanto su cosa realmente galleggiasse insieme alla sostanza esaltata nelle pubblicità.
Iniziarono a sorgere alcuni dubbi, e si aprirono alcune inchieste grazie a chi all’epoca era il canale privilegiato per la distribuzione di cosmetici “sani”: le erboristerie. Alcuni iniziano ad aprire gli occhi ed accorgersi che nei loro bagnoschiuma c’erano dei derivati del petrolio; nel ’98 l’opinione pubblica fu realmente scossa quando esplose la notizia che il Sodium Laureth Sulfate era potenzialmente cancerogeno. Proprio quella sostanza che fa “schiuma”, e fino ad allora era contenuta nella qualsiasi: dentifrici, saponi per bambini, shampoo ecc ecc..
C’è quindi chi inizia a voler formulare prodotti senza sostanze dannose: i primi esperimenti non furono gran che, i cosmetici risultavano “vuoti” dal punto di vista funzionale. Ma è proprio da allora che inizia l’enorme lacuna legislativa: come riconoscere dall’etichetta chi realmente produceva cosmetici “verdi” da quelli convenzionali?
Non essendoci una legge precisa sull’argomento nascono così i primi enti di certificazione! Questi sono un argomento vasto ed ampio, mentre esiste un Regolamento Europeo entrato in vigore nel 2013, che sostituisce la legge precedente e pone particolar importanza alle norme di sicurezza, circa il prodotto cosmetico finito: da qui nasce il famoso “INCI”! Con questo Regolamento si obbliga tutti i produttori ad apporre sull’etichetta tutte le sostanze contenute nel prodotto, la quale deve essere, indelebile chiara e leggile “INCI” (International Nomenclature of Cosmetic Ingredients, ovvero la lista di ogni sostanza che compone un cosmetico nell’ordine decrescente di peso al momento della fabbricazione. Vengono quindi identificati e definiti i nano materiali, imponendo determinate direttive sull’impiego di questi nei cosmetici (riconfermando l’elenco di 1400 sostanze proibite) e informando così, tramite l’etichetta, il consumatore sulla presenza o meno di queste sostanze. Il Regolamento vieta inoltre la sperimentazione sugli animali dei prodotti finiti. Quindi questo vuol dire che:
- Il consumatore sa quali sostanze ci sono realmente in un cosmetico, e in base alla posizione all’interno dell’INCI approssimativamente, quanta di questa sostanza c’è effettivamente all’interno del prodotto finito.
- Nessun prodotto finito immesso sul mercato (e sì anche quelli convenzionali) può essere stato sperimentato sugli animali.
Ora che sappiamo cosa è un’INCI e come è nata la cosmesi eco biologica, vi interesserebbe sapere qualcosa di più sulle certificazioni? Fatemi sapere cosa ne pensate con un commento!
La vostra
Giulia